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39-Non dimenticate San Marino

PAVIA, CHIESE DA SALVARE

Non dimenticate San Marino

Ho provato a riprendere in mano vecchi appunti di storia pavese. Nel 1833, il vescovo Tosi riottenne la proprietà della chiesa (allora sconsacrata e semi-demolita) di San Pietro in ciel d’oro, che era stata trasformata in fienile da un certo ing. Marozzi. Per vent’anni, il vescovo Tosi cercò di demolire l’antica Basilica e si scontrò con una parte dell’opinione pubblica, facendosi sostenere dalla perizia d’un certo ing. Capsoni che affermava che San Pietro in ciel d’oro era “fabbrica di nessun pregio“, dalla “facciata disadorna, ineuritmica e deforme“. In tali circostanze, il Comune si adoperò per salvare l’antico monumento.  In particolare, occorre ricordare Camillo Brambilla il quale, da membro della Commissione archeologica e della Commissione di Belle Arti, divenne Presidente della Società per la Conservazione dei Monumenti d’Arte Cristiana e raccolse i fondi necessari al lungo e complesso restauro della Basilica romanica. I restauri di San Pietro in ciel d’oro durarono dal 1884 al 1900 e furono interamente sopportati dallo sforzo di quella benemerita Società: una vicenda che – ricondotta ad oggi – induce un immediato confronto con le tristi vicissitudini delle chiese dei Santi Giacomo e Filippo e di San Marino.   La prima, capolavoro pavese dell’architettura del barocco lombardo, è chiusa da anni ed attende di essere sconsacrata, epr divenire aula magna di un’istituzione universitaria. Non si capisce però se la cessione del Broletto all’Università non comporti anche un abbandono di tale progetto e non regali alla città un ennesimo rudere, da aggiungere alle tante ex-chiese abbandonate al loro destino.  Quanto poi al “dossier San Marino“, sembra addirittura che i ruoli della società civile dell’Ottocento si ritrovino invertiti: un Comune che – proprietario del monumento  – lo lascia quasi cadere in rovina, per poi “inventare” un restauro che vorrebbe in realtà essere una pesante trasformazione in una sala con magazzino per mostre d’antiquariato, con tanto di servizi igienici e montacarichi… e intanto si consolida il campanile, ingabbiandolo in una struttura di esili barrette di ferro, come fosse un tappo di champagne.  Per fortuna, o per caso, qualcuno in questa città – che qualcuno ritiene morta e rinunciataria – aveva sollevato il capo. Una voce dal basso, uno spunto di partecipazione animato da un gruppo dei commercianti nel rione, aveva chiesto maggiore attenzione per questa chiesa, che ospita tra l’altro la cappella di Sant’Eligio, patrono degli Orafi: come nelle città comunali del Medioevo, commercianti consapevoli e fieri, legati alle tradizioni del luogo e non (come qualcuno li vorrebbe dipingere) attaccati soltanto ai loro guadagni quotidiani ed al posto di parcheggio per la loro auto…  Un autentico barlume di speranza; che purtroppo pare essersi spento ai soffi del vento. Ci dobbiamo ancora augurare di ritrovare congiunte, in un’azione positiva di salvaguardia del patrimonio monumentale, le gloriose associazioni nate per tale fine, in un impeto di mobilitazione che rinnovi i fasti medievali, i fasti ottocenteschi, e non i silenzi (o gli ingloriosi insuccessi) che negli ultimi decenni hanno voluto soffocare ogni allarme, ogni stimolo, e l’hanno bollato come se si trattasse soltanto di inutili proteste, “fastidiose per gli addetti ai lavori“.Prof. Alberto ArecchiPavia
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